4 Dicembre 2019

IN CHE MODO GLI INSEGNANTI POSSONO ASSUMERE UN ATTEGGIAMENTO COMPRENSIVO PER GESTIRE I COMPORTAMENTI DEI PROPRI ALUNNI

Traduzione e adattamento a cura di Erika Certosino  

Per gentile concessione dell’autrice Mona Delahooke Ph.D.

Articolo originale consultabile al link sottostante:

How Teachers Can Take A More Compassionate Approach to Behaviors

Jalene è una bambina che frequentava la quinta elementare. I suoi insegnanti avevano difficoltà a gestire il suo comportamento, perché Jalene aveva l’abitudine di correre in modo sfrenato per i corridoi della scuola. L’equipe che aveva stilato il suo PEI aveva elaborato per gli insegnanti un piano di intervento comportamentale che prevedeva di rimproverarla per il suo comportamento inappropriato, allontanarla dalla classe o addirittura costringerla a sedere da sola in una stanza silenziosa.

In realtà tutte queste misure, invece di correggere il comportamento della bambina, avevano avuto come unico risultato quello di accentuarlo.

Il problema non era che gli insegnanti non avessero buone intenzioni, ma che fossero stati istruiti a indirizzare determinati tipi di comportamenti, cercando di estinguerli. Ciò che non avevano imparato è che i comportamenti rappresentano solo la punta di un iceberg metaforico, per cui riusciremo a trovare le cause che li determinano ed eventuali soluzioni per gestirli, soltanto guardando al di sotto della superficie di galleggiamento.

Usando un’altra analogia – da Dean Ornish, un pioniere nella medicina olistica – quando ci concentriamo su un aspetto, ad esempio su un comportamento isolato, è come se “tentassimo di asciugare un lavandino bagnato senza chiudere il rubinetto dell’acqua”. In altre parole, quando semplicemente puniamo un bambino come Jalene perché “si comporta male” senza capire che il comportamento ha uno scopo adattivo, non cogliamo la “big picture”. Invece di “asciugare” il lavandino (quindi intervenire sull’effetto), dobbiamo capire come chiudere il rubinetto, cioè andare all’origine del problema, per scoprire cosa sta scatenando questi comportamenti.

Nel corso della mia carriera di psicologa infantile, ho ripetutamente assistito alle difficoltà che derivano dall’intervenire sui comportamenti piuttosto che sulle loro cause. Come nel caso di Jalene, questa strategia spesso causa nuovi problemi. Le tabelle del comportamento appese sulle pareti della classe, ad esempio, possono accrescere l’ansia e lo stress nel bambino in questione e anche in molti compagni che vedono lo status del bambino peggiorare nella behavior chart. Ho incontrato tanti studenti che si preoccupano delle tabelle del comportamento, anche se non hanno difficoltà comportamentali. Perché?

Perché la presenza di questa tabella, invece di infondere sicurezza, fornisce input visivi percepiti come minacciosi.

Ogni settimana vedo che il nostro sistema scolastico è iper-focalizzato sulla gestione del comportamento e non sull’individuare le cause che lo determinano. Purtroppo i problemi non si esauriscono a scuola: spesso il bambino porta a casa lo stress accumulato durante la giornata scolastica. A questo si aggiunge poi lo stress dei genitori preoccupati di ricevere telefonate dagli insegnanti o dai referenti scolastici, che in qualche modo li accusano di essere responsabili per i problemi comportamentali dei loro figli.

Dopo aver assistito per tanti anni a dinamiche simili, grazie ai miei studi neuroscientifici ho scoperto e capito come insegnanti e genitori si focalizzino sui comportamenti piuttosto che sulle loro cause. Una volta che ho iniziato a concentrarmi su ciò che un dato comportamento può significare, a indagare su quello che può rivelare sui reali bisogni del bambino sia a livello relazionale che ambientale, ho avuto risultati migliori. E le equipe con cui ho lavorato hanno iniziato ad osservare i problemi comportamentali da un’altra prospettiva, cercando di trarre informazioni utili sul tipo di sostegno di cui il bambino aveva bisogno. Guardando al di sotto della punta dell’iceberg, siamo riusciti a capire cosa scatenasse le reazioni del bambino e a comprendere meglio il significato del suo comportamento.

Nel caso di Jalene, i suoi insegnanti hanno appreso che c’era una ragione che spingeva la bambina a correre per i corridoi, ovvero, il sentire delle voci che riecheggiavano contro i muri di cemento e i pavimenti di piastrelle mandava in tilt il Suo sistema Nervoso, evocando una reazione di “lotta o fuga”. Correre era il suo modo inconscio e adattivo di proteggersi. Il suo comportamento era funzionale allo scopo: difendersi da una stimolazione per lei insostenibile.

Dopo aver finalmente capito la causa dello stress psicologico di Jalene, i suoi insegnanti hanno smesso di incolparla e hanno cominciato ad agire in maniera comprensiva. Il piano comportamentale è stato quindi modificato. L’obiettivo non era più quello di agire sul comportamento della bambina, ma su quello dell’insegnante e dell’assistente che l’aiutava in classe. Quando accompagnavano Jalene nei corridoi, le rimanevano accanto per supportarla e le facevano anche indossare delle cuffie rosa molto carine mentre camminavano con lei, tenendole la mano e guardandola con affetto e calore invece di giudicarla per il suo comportamento. Questa strategia si è rivelata efficace e così il corridoio, che fino a quel momento per Jalene aveva rappresentato un ambiente minaccioso, è diventato un posto sicuro e i problemi comportamentali della bambina sono cessati.

Il nostro sistema educativo lavora partendo da un modello che considera i comportamenti come fossero un qualcosa di separato dal corpo, dalla mente e dalle relazioni del bambino. Invece, tutti possiamo e dobbiamo diffondere la conoscenza di un nuovo paradigma che sostituisce la scienza comportamentale con strategie che trovano fondamento nel funzionamento del cervello (come le più recenti scoperte neuroscientifiche stanno evidenziando) e  che hanno alla base la comprensione dei bisogni del bambino.

Il messaggio per insegnanti e genitori è questo: invece di cercare di estinguere comportamenti indesiderati, possiamo cercare di comprendere i bambini che li manifestano. I comportamenti ci dicono molto su come un bambino percepisce il mondo e gli adulti che lo circondano. Come dice Alexander Van Hiejer, “Quando un fiore non sboccia, occorre intervenire sull’ambiente in cui cresce, non sul fiore”.

Parlerò in maniera più approfondita di come possiamo comprendere e supportare i bambini con problemi comportamentali nel mio libro, Beyond Behaviors.

Erika Certosino

 

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