13 Novembre 2019

I TIME-OUT FUNZIONANO? È TEMPO DI RIFORMULARE LA DOMANDA

Traduzione a cura di Erika Certosino

Articolo originale di Mona Delahooke, Ph.D, consultabile al link sottostante:

Do Time-Outs Work? It’s Time to Reframe the Question

 

I time-out rappresentano una strategia efficace nell’aiutare i genitori a gestire i problemi comportamentali dei loro figli?

Prima di studiare lo sviluppo del bambino nella prima infanzia, ricorrevo occasionalmente ai time-out con i miei figli perché erano considerati una tecnica appropriata per insegnare la disciplina. A distanza di anni, è in atto un dibattito sul fatto che questo sia vero o meno. Un articolo recente sul Time ha cercato di dirimere la questione, ma il tentativo è stato controproducente e ha generato confusione sia tra i genitori e che tra i professionisti.

L’articolo ha menzionato un esperto, lo psichiatra dell’UCLA Dan Siegel, il quale ha affermato che la “punizione e l’isolamento sociale” che il time-out comporta, sono dannosi per i bambini. Ma, nello stesso articolo, Rachel Knight, una psicologa dell’Università del Michigan, ha obiettato evidenziando l’esistenza di numerosi dati a favore di questa pratica educativa, che dimostrerebbero come, nelle famiglie che usano i time-out, non ci sia una maggior incidenza di “ansia, depressione, aggressività, problemi di auto-regolazione e comportamenti oppositivi”, rispetto a quelle in cui questa strategia non viene adottata.

Potrei obiettare evidenziando i limiti della ricerca sullo sviluppo emotivo nell’essere umano, ma il vero problema di questo articolo risiede nel fatto di essersi focalizzato su una domanda troppo semplicistica, ovvero se i time-out siano giusti o sbagliati, invece di prendere in esame una questione ben più importante: in che modo i genitori dovrebbero decidere quando e se ricorrere al time-out (o ad altre strategie)?

Per poter rispondere a questa domanda, occorre prima porsene un’altra: il bambino si sta deliberatamente comportando in maniera inappropriata, ovvero, è una scelta volontaria, o il suo comportamento rappresenta una risposta inconscia e autonomica allo stress? Se il comportamento costituisce una reazione allo stress, la soluzione NON è ASSOLUTAMENTE PUNIRE IL BAMBINO, in quanto non dobbiamo insegnargli una lezione e, in ogni caso, il cervello e il corpo del bambino non sarebbero comunque in condizioni tali da poter apprendere ciò che vogliamo trasmettere. Invece, è necessario e importante che la nostra presenza abbia un effetto calmante e lo aiuti a ridurre lo stress.

Punire un comportamento scatenato da fattori stressogeni equivale a continuare ad asciugare un lavandino bagnato lasciando il rubinetto aperto, ovvero, intervenire sull’effetto senza agire sulla causa.

Si possono distinguere vari tipi di comportamento. Ad esempio, le reazioni di “lotta o fuga” originano da un’attivazione del Sistema Nervoso Simpatico e rappresentano una risposta adattiva del bambino allo stress. Punire questi comportamenti ha come risultato soltanto quello di causare ulteriore stress al Sistema Nervoso del bambino, con l’effetto di peggiorare il comportamento piuttosto che di mitigarlo.

Quando i genitori mandano un bambino in time-out, partono dal presupposto che egli debba imparare una lezione. Io lo definisco un bias “top down”, cioè un giudizio che nasce dall’errata assunzione che un bambino si trovi sempre in condizioni idonee ad apprendere. Prima di adottare qualunque tipo di misura correttiva, è necessario determinare se il Sistema Nervoso del bambino sia ricettivo in quel particolare momento. Gli esseri umani hanno bisogno di trovarsi in uno stato di calma e di allerta per poter imparare a modificare i loro comportamenti.

Nel corso degli anni, facendo consulenze ai genitori o nelle scuole ho spesso riscontrato la tendenza a commettere questo errore. Frequentemente ho osservato bambini i cui problemi comportamentali non rispondevano alle strategie comuni come i time-out. Anzi, spesso, questo tipo di approccio incrementa l’incidenza di comportamenti disfunzionali, così come la comparsa di ansia e depressione. Questo accade in molti bambini, ma soprattutto in quelli che sono stati esposti a traumi o stress tossici, in cui l’isolamento sociale può causare angoscia e disperazione.

Se proviamo a guardare i problemi comportamentali da un’altra prospettiva (come nel caso della reazione di lotta o fuga, che costituisce una risposta inconscia allo stress), ci renderemo conto facilmente del fatto che il time-out rappresenta una sorta di “minaccia” per il Sistema Nervoso del bambino, per cui ricorrervi equivale a ignorare la connessione corpo-cervello. L’ossessione collettiva per questa strategia educativa riflette una convinzione superata e ormai datata secondo la quale tutti i comportamenti sarebbero volontari e verrebbero rinforzati.  Ma questa convinzione è errata.

Quanto alla domanda: “i time-out funzionano? Essi possono aumentare la compliance del bambino, ma ora abbiamo capito cose che io avrei voluto tanto conoscere quando ero una giovane madre, ovvero che ci sono altri strumenti molto più efficaci e meno pericolosi. Grazie alle scoperte neuroscientifiche, sappiamo che possiamo trovare modi migliori per guidare i nostri bambini, piuttosto che privarli dell’ingaggio sociale. Pensate all’ultima volta in cui qualcuno che amate vi ha ignorato. Come vi siete sentiti?Ha risolto il vostro problema?

Ci sono modi molto più efficaci del time-out per insegnare ai bambini e sono queste le strategie verso le quali dovremmo guardare, nell’ottica di una genitorialità positiva. Una strategia alternativa, ad esempio, è quella del time-in, che io definisco come lo stare con il bambino co-regolandosi con lui e aiutandolo così a passare da una situazione di stress ad uno stato di calma. È importante che le interazioni con i caregiver supportino il bambino, aiutandolo a calmarsi e mettendolo nelle condizioni di poter cominciare a parlare di quello che è accaduto, cercando di trovare insieme delle soluzioni per riuscire a gestire meglio la situazione quando si ripresenterà.

È tempo di modificare il nostro modo di pensare su come insegnare la disciplina e di adottare, invece, un approccio compassionevole e comprensivo basato sulle più recenti scoperte neuroscientifiche. In questo modo tutti ne beneficieranno, perché riusciremo a rafforzare le relazioni e, allo stesso tempo, a fornire ai nostri preziosi bambini insegnamenti importanti  all’interno di una cornice evolutiva.

Parlerò in maniera più approfondita di come comprendere e supportare i bambini con problemi comportamentali nel mio libro, “Beyond Behaviors”.

Erika Certosino

 

 

 

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